Un argomento che ho ritenuto attuale nella situazione di emergenza da COVID-19, è quello del trauma.
Sappiamo infatti, che la pandemia potrebbe avere degli effetti psicologici sugli individui: stiamo vivendo una condizione di quotidianità che è molto differente da come l’abbiamo sempre conosciuta e vissuta.
Ci troviamo in una condizione di totale incertezza che può alterare, in modo differente per ognuno di noi, il senso di controllo e di stabilità psicofisica che normalmente abbiamo. Non avere informazioni precise su quello che sta succedendo, non avere una previsione di come si evolverà la situazione, essere costretti in casa, cambiare le proprie condizioni lavorative (se non addirittura non lavorare), cambiare radicalmente le modalità di relazione sociale, sono solo alcuni dei molteplici esempi che potremmo fare in merito al cambiamento radicale che abbiamo visto coinvolgerci tutti in prima persona.
In questo senso possiamo affermare che, per alcune persone sia possibile vivere la pandemia come un trauma. Cercherò di fare chiarezza su questo concetto, osservandolo dal punto di vista psicoanalitico, dunque approfondendo la sua concezione.

Etimologicamente, dal greco, trauma significa ferita, lacerazione. Nel dizionario Treccani leggiamo: “turbamento dello stato psichico prodotto da un avvenimento dotato di una notevole carica emotiva”, in medicina “lesione prodotta nell’organismo da un qualsiasi agente capace di azione improvvisa, rapida e violenta”. Attualmente dunque, il riferimento più frequente di questo termine rimanda all’evento che ha prodotto tale effetto di ferita.
Nella teoria freudiana, il trauma è concepito come un evento isolato e unico che produce una quantità tale di eccitazione intrapsichica che è in grado di produrre a sua volta una lacerazione nell'integrità psichica di un individuo. Ciò obbliga la persona, ad operare una ristrutturazione al suo interno, al fine di riacquistare l'equilibrio perduto, spesso adoperando meccanismi di difesa allo scopo di proteggere la persona dal ricordo dell’evento traumatico, il più comune, la rimozione.
Citando Freud
- Chiamiamo “traumatici” quegli eccitamenti che provengono dall'esterno e sono abbastanza forti da spezzare lo scudo protettivo. Penso che il concetto di trauma implichi quest’idea di una breccia inferta nella
barriera protettiva che di norma respinge efficacemente gli stimoli dannosi. – (Al di là del principio di piacere, 1920).

Possiamo dunque affermare che il trauma, nella misura in cui lascia un segno, una cicatrice indelebile nel soggetto, ha degli effetti sul processo di identificazione dell'individuo. Quell’esperienza diviene un marchio permanente che unicizza il soggetto, lo rende ancora più singolare.


L’esperienza traumatica viene dunque vissuta dalla persona come un evento che crea un profondo di discontinuità nel proprio senso dell’essere. Si potrebbe pensare ad una sorta di depersonalizzazione e derealizzazione. La persona infatti, non perde solamente il contatto con sé stesso, ma anche il contatto con il senso del mondo. Troviamo nella persona, sentimenti di estraneità, di dubbio, di confusione in cui le cose sembrano diverse dal vissuto precedente all’esperienza traumatica. La sensazione di distacco provata è però associata ad un sentimento di forte incombenza delle cose; l’individuo sente di essere passivo ed impotente, di non poter fare nulla.

Sottolineo, tramite l’approfondimento di questo tema, che il concetto di trauma è, in epoca contemporanea, un concetto del quale si abusa. Anche se la situazione di emergenza sanitaria che stiamo vivendo ci viene presentata come traumatica, ciò non vuol dire che essa debba essere vissuta come tale da tutte le persone.
Il trauma, infatti, è un evento che per definizione è singolare. Allo stesso modo sappiamo che ogni individuo è differente dagli altri e si costituisce da vissuti e modalità di funzionamento che sono estremamente soggettivi e unici e che permettono a soggetti diversi di vivere una stessa esperienza in maniera totalmente differente.